Fotografia / Fotografia e contemporaneità
Il 1826 fu
un anno portatore di alcune novità. Gioacchino Rossini scrive l'Assedio di
Corinto, James Fenimore Cooper pubblica il romanzo d'avventura L'ultimo
dei Mohicani e lo scozzese Patrick Bell sperimenta con successo la
mietitrice meccanica. Probabilmente, però, la trovata che più inciderà sui
costumi, in maniera progressiva e in concomitanza con i progressi tecnici,
arrivando fino a noi, sarà l'invenzione della fotografia.
Proprio in questo anno,
Nicephore Niepce fece il tentativo di fissare la veduta da una finestra,
sfruttando le capacità d’annerimento del bitume di Giudea su una lastra di
peltro, con una posa di circa otto ore.
La prima fotografia di Niepce |
Qualche anno
più tardi Daguerre, chimico, pittore e scenografo teatrale, con il dagherrotipo, tra le altre cose, divenne il padre del
genere del ritratto umano, quindi della riproducibilità dal vero della figura umana, se vogliamo un antesignano ideale del nostro Collodi,
padre nel 1881 di Pinocchio, burattino dalle sembianze umane con il dono della parola e del libero arbitrio.
La tecnica
fotografica si sviluppò molto rapidamente e il governo francese, intuendone l’importanza e le potenzialità,
nel 1827 comprò il brevetto da Niepce liberando l’invenzione dai diritti, in modo
che tutti potessero usarla nonché contribuire a perfezionarla.
Dall’immagine
fissa alla ripresa e riproduzione dell’immagine in movimento il passo fu breve.
Nel 1895 grazie ai fratelli Lumiere iniziò l’avventura del cinema, la settima arte,
probabilmente l’espressione artistica più vicina al sentire contemporaneo, che
riassume in sé tutte le arti che l’hanno preceduta.
In questa
sede, vorrei soffermarmi però su alcune dissertazioni riguardo l’immagine
fissa.
La fotografia, nata nel periodo del pensiero positivista, contiene in sé il germe della contemporaneità; nello specifico possiede nella sua genealogia, l’interesse dell’uomo moderno per la riscoperta del passato. Come ci suggerisce Susan Sontag, le fotografie sono una scorciatoia per rendere il passato un oggetto consumabile; quest’ultimo termine anch’esso pregno di modernità e anticipatore dei gusti della società di massa. Quindi, parole d’ordine del nostro vagabondaggio mentale sono, finora, passato e consumo. Inoltre, la fotografia è portatrice di democrazia. Al giorno d’oggi un ritratto fotografico non si nega a nessuno e con questo l’idea della permanenza, l’idea di aver truffato per un momento la morte, ossia la cancellazione, la dissoluzione di ogni nostra traccia. Questa possibilità, prima dell’invenzione di Niepce, era un privilegio riservato a nobili, generali e cardinali, oppure bene che andava a ricchi mercanti.
A prima vista la fotografia sembra essere la naturale erede della pittura, ma Roland Barthes, nel suo saggio La camera chiara, ci fa notare come in realtà non è attraverso la pittura che la fotografia diventa arte, ma attraverso il teatro. Nel senso di teatro primitivo, di pose, messe in scena, di idea di rappresentazione o per dirla in linguaggio fotografico, per inquadrature che sconfiggono momentaneamente la morte; come abbiamo visto Daguerre era anche scenografo teatrale. Quindi la fotografia come una tecnica razionalistica che riesce a perpetrare, fissare e trasmettere i Tableau vivant, i quadri viventi, raffigurazioni umane che fecero la loro comparsa sui sagrati delle chiese durante le sacre rappresentazioni medioevali e che dalla seconda metà del ‘700 fino al secolo seguente coniugavano pittura e teatro per evocare scenari suggestivi ad un pubblico nobile e borghese.
Questo
probabilmente risulta più vero nella fotografia europea, condizionata dalla sua lunga
storia da concetti pittorici e accademici. La fotografia americana, suggestionata dalla
frontiera, da grandi spazi e senso di vuoto da riempire, ha un legame meno
rigido con la storia e un rapporto più predatorio ma anche ottimistico con la
realtà geografica, per quanto riguarda i paesaggi, e sociale e di indagine, nella fotografia
urbana e ritrattistica.
Altro
termine di paragone con la contemporaneità è la crudeltà. Nel sensore delle
moderne macchine fotografiche non rimane impressa solo la bellezza; come non
rimane indelebile solo la nostra intenzione. Spesso nella ripresa, scopriamo solo dopo lo scatto la presenza di
elementi in origine non graditi, che sono capitati lì per un caso fortuito. Celebre in questo caso la mosca che si posa sul volto dell'attrice Reneè Falconetti protagonista del film di Dreyer La passione di Giovanna d'Arco del 1928.
Reneè Falconetti |
La
fotografia quindi rileva e rivela, in maniera spietata, tutto ciò che è
compreso nel rettangolo dell’inquadratura. Ecco, allora evidenziata un’altra
differenza con la pittura, la quale non è in grado di rilevare ma solo di
rivelare, in quanto il controllo è totalmente in mano al pittore che è l’artifex
maximus, che decide composizione, colore, luce, isolando il tutto da ogni momentanea interferenza esterna. Il fotografo ha il controllo
totale dell’inquadratura solo nella fotografia da studio, ambiente protetto per la creazione di sogni, fuori da esso è
completamente immerso nel flusso vitale, che proprio come la vita, può essere a volte imprevedibile, rimanendo concentrato
sul millisecondo che rimarrà congelato e trasmesso ai posteri.
Io fotografo ciò che non voglio dipingere e dipingo ciò che non posso fotografare (Man Ray)
Man Ray |
Fotografia
fa anche rima con vedere, altra lusinga dei nostri tempi. Il vedere è esercizio
di un’ arte pragmatica, nemica del riferito, necessità intima di testimoniare in prima
persona. Ma il vedere fotografico, non è esercizio di realismo puro, bensì contaminazione della sua origine positivistica, per le sue intrinseche qualità di essere un medium rilevatore e
rivelatore allo stesso tempo, agente modificatore del concetto di realtà, o meglio, di come
appare la realtà filtrata dalla visione del fotografo secondo i canoni culturali vigenti.
Per concludere
un argomento che meriterebbe una trattazione più esaustiva, ma sul quale torneremo, possiamo in questa sede definire la fotografia come un’arte sicuramente espressione di
modernità, che rende possibile indagare il passato, che si presta ad un democratico consumismo
di immagini, liberando la crudeltà della visione del vero e che
probabilmente fa vedere, rilevare, e attraverso l'elaborazione personale del fotografo
e del fruitore, rivelare un lato, fino a quel momento sconosciuto, della realtà.
Riferimenti bibliografici:
Roland Barthes, La camera chiara. Nota sulla fotografia.
Sandro Bernardi, L'avventura del cinematografo.
Susan Sontag, Sulla fotografia. Realtà e immagine nella nostra società.
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