Cinema / Notti magiche: lo strano mondo del cinema
Paolo Virzì è un regista che mi piace. Da La bella vita (1994) a La pazza gioia (2016) ha realizzato pellicole interessanti dove sovente ha mostrato le vicende personali dei protagonisti, spesso tormentati, inseriti in un contesto sociale connotato. L'attore Roberto Herlitzka in un intervista ha dichiarato che è un regista gentile che sa cosa vuole e il suo modo di fare crea un atmosfera amichevole e collaborativa sul set.
Del 2018 è Le notti magiche. La trama del film è relativamente semplice: Roma, nell'estate del mondiale di calcio del 1990, precisamente il 3 luglio durante la semifinale tra Italia e Argentina, un noto produttore cinematografico viene trovato morto nelle acque del Tevere. I principali sospettati dell'omicidio sono tre giovani aspiranti sceneggiatori, finalisti del Premio Solinas: nel corso di una notte nella caserma dei carabinieri viene ripercorso il loro viaggio pieno di speranze, sentimentale e ironico, nello splendore e nelle miserie di una stagione del cinema italiano ormai al tramonto.
Il film in realtà è una galleria di "cinematografari" più o meno noti che saranno oggetto di speranza, ostacolo, stimolo creativo e delusione per i tre giovani aspiranti sceneggiatori. Queste vicende si dipanano lungo lo scorrere del campionato mondiale di calcio tenuto proprio a Roma; ma le partite non sono altro che lo scadenzario temporale che inquadrano le vicende dei tre protagonisti.
Personaggi vanagloriosi, volgari e senza scrupoli questi "cinematografari". Un produttore, Saponaro (Giancarlo Giannini), accoppiato ad un'aspirante attricetta bionda sull'orlo del fallimento, che mi ha fatto pensare alla coppia Vittorio Cecchi Gori-Valeria Marini; il vecchio sceneggiatore Zeppellini (Roberto Herlitzka) che ha assonanze con Zavattini (?) il quale però è venuto a mancare nel 1989, che ricordando l'epoca d'oro del cinema italiano, sputa sentenze su tutti con il cinismo tipico di chi non si riconosce più in un ambiente del quale era una personalità influente; l'attore impegnato Jean Claude Bernard (Jalil Lespert) erotomane incallito che ottiene un rapporto sessuale dalla giovane aspirante sceneggiatrice Eugenia Malaspina (Irene Vetere) senza neanche chiedergli il nome; poi ancora l’autore impegnato Fosco (Andrea Roncato), che vive come un barbone in un sottoscala, con la carriera stroncata dai veti dell’industria cinematografica, fino a passare in rassegna una pletora di personaggi che con le qualifiche più originali ruotano intorno al mondo del cinema. Tipico in questo senso è il ruolo di Emanuele Salce, ossia il presenzialista, colui che sa tutto di tutti ma in realtà non ha una professione, non si sa cosa faccia nella vita. L'affresco che viene tratteggiato rende una dimensione autoreferenziale di un ambiente ripiegato su se stesso fino alla chiusura che promette denaro e fama ma chiede in cambio molto, forse troppo.
Alla fine, dietro gli ammonimenti del capitano dei Carabinieri (Paolo Sassanelli) ai tre giovani sceneggiatori che li sprona ad uscire da un mondo futile e se vogliamo lontano dalla realtà, si materializza il ricordo del personaggio di Romano (Carlo Verdone) de La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino, accorso a Roma in cerca di affermazioni letterarie, il quale deluso da un mondo frivolo che non presta ascolto a nessuno e da risposte che non arrivano, decide di fare le valigie per tornare al suo paese del viterbese. La conferma del fallimento in questo mondo di luci abbaglianti l'abbiamo prima dei titoli di coda dove scopriamo che i tre aspiranti sceneggiatori hanno cambiato mestiere: Antonino Scordia (Mauro Lamantia) sarà docente di Storia dell'Arte in una università londinese, il toscano Luciano Ambrogi (Giovanni Toscano) lo troviamo gestire un ristorante sul litorale toscano, e la povera Eugenia Malaspina, uccisa da droghe e psicofarmaci parlerà per voce della figlia.
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