Musica / Claudio Monteverdi: il coraggio dell'innovazione
Per poter parlare di Claudio Monteverdi e della sua ricca produzione musicale in maniera sintetica ed esaustiva sarebbe buona norma, per chiarezza di esposizione, intraprendere un percorso cronologico- geografico che comprenda le tre città italiane che maggiormente influirono sulla sua formazione; Cremona, Mantova e Venezia.
Claudio Monteverdi nasce a Cremona nel 1567, figlio di Baldassare, medico e speziale molto in vista nella città lombarda. Il musicista inizia a studiare musica, che gli studi umanistici avevano posto in cima ai saperi necessari per un gentiluomo, con Marcantonio Ingegneri e da subito manifestò del talento che venne premiato dalla stampa di cinque libri di sue composizioni prima di giungere ai venti anni di età. Questo per l'epoca era un fatto straordinario, in quanto la stampa musicale aveva costi ingenti, ma probabilmente la posizione paterna rese più agevole l'impresa.
Claudio Monteverdi |
Comunque, già in queste prime pubblicazioni il giovane Monteverdi esprime aderenza alle tematiche tardo rinascimentali che porteranno alla crisi interiore dell'uomo seicentesco. Se il Rinascimento era stato il periodo della rinascita dell'uomo che grazie alla riscoperta degli studi umanistici aveva preso piena coscienza di se e delle sue possibilità e aveva abbandonato il senso di fatalità della società teocentrica medievale, nel Seicento queste sicurezze cedono il passo al senso di inutilità della vita e della sua caducità; l'arte diviene terreno privilegiato per esprimere questo disagio esistenziale. Nelle arti figurative, il Pontormo, Rosso Fiorentino e il Parmigianino creano immagini caratterizzate da colori accesi e violenti, potenza espressiva delle forme e sguardi sofferenti racchiusi spesso in spazi angusti, claustrofobici. Nel teatro, Shakespeare si rivolge spesso al sovrannaturale, al magico, alla dimensione onirica, come farà successivamente anche lo spagnolo Calderon de la Barca nel suo dramma filosofico La vida es sueno, dove esprime la futilità dell'esistenza umana, la fugacità del tempo e l'illusorietà delle vicende terrene.
Monteverdi nel 1591 viene assunto come suonatore di viola presso la corte di Vincenzo Gonzaga a Mantova, dove vive un periodo contrastato: da un lato la sua posizione gli offre la possibilità di fare esperienze importanti dal punto di vista formativo come la partecipazione a spettacoli grandiosi e viaggi all'estero al seguito del Duca, ma l'altra faccia della medaglia ci mostra un Monteverdi deluso e indispettito da pagamenti mancati o bene che vada scarsi e ritardati. Ma il periodo mantovano è un periodo di forte crescita artistica che culmina con la disputa del 1600 con Giovanni Maria Artusi, canonico e teorico della musica bolognese, che accusa Monteverdi, senza peraltro nominarlo ma citando alcune sue opere, di usare in maniera non convenzionale i cromatismi, ovvero "di dimostrare i traviamenti di certe tendenze compositive moderne che contraddicono in modo palese le regole tradizionali".
Monteverdi risponderà a queste incomprensioni solo nel 1605 con una breve prefazione al Quinto libro dei Madrigali, ma la vera dichiarazione d'intenti arriverà nel 1607 dove elabora la distinzione della modalità compositiva tra la Prima prattica, in vigore fino alla metà '500 e la Seconda prattica coeva.
In questa diversificazione, il musicista cremonese sostiene che nella Prima prattica compositiva il testo è schiavo della musica, ossia le regole della composizione ignorano i principi della teoria degli affetti espresse dalla poesia, mentre nella Seconda Prattica è la musica che serve la poesia, l'asseconda e ne esalta il fine espressivo, ne consegue che quando il compositore si allontana dai canoni compositivi classici lo fa per esaltare il contenuto affettivo del testo.
Tuttavia, non sarà solo questa l'innovazione che Monteverdi porterà nella musica del suo tempo.
Frontespizio del libretto |
Nel 1613 viene assunto nel prestigioso ruolo di Maestro di cappella della Basilica di San Marco a Venezia, posto appartenuto in passato a celebri musicisti fiamminghi come Adrian Willaert, Cipriano De Rore e gli italiani Andrea e Giovanni Gabrieli e Gioseffo Zerlino.
In questa sede Monteverdi trascorrerà trent'anni in serenità, retribuito adeguatamente e lontano dalle intemperanze umorali dei principi. La Repubblica della Serenissima in questo senso era una garanzia.
Oltre al lavoro presso San Marco, Monteverdi compone musiche per nobili veneziani e opere per le corti di Mantova e Parma, ma il momento di svolta fu l'inizio dell'attività del teatro impresariale con l'apertura del Teatro di San Cassiano a Venezia nel 1637, al quale ne seguirono molti altri. Nel 1640 riprende le rappresentazioni dell'Arianna, lo stesso anno viene dato Il ritorno di Ulisse in patria, nel 1641 Le nozze di Enea e Lavinia e nel 1642 sempre nella città lagunare presso il Teatro Santi Giovanni e Paolo di proprietà della famiglia Grimani andrà in scena L'incoronazione di Poppea.
L'idea di aderenza della musica all'espressività del testo si esalterà nelle opere fin da subito, a partire dalla prima composizione che riguarda L'Orfeo, scritta nel 1607 durante il periodo mantovano.
Le novità riguardano l'organico orchestrale che si amplia fino a 40 strumentisti che intervengono per meglio caratterizzare momenti psicologici e situazioni drammatiche attraverso il loro timbro, ottoni in situazioni infernali, violini durante implorazioni e lamenti; abbellimenti scritti in partitura e non lasciati alla discrezione dell'esecutore; uso del coro con efficace funzione drammatica in relazione al testo.
Il percorso innovativo del musicista, che con il suo coraggio mutò la sensibilità musicale del tempo e con questa anche la funzione della musica, che da allora si affiancò alle altri arti con funzione espressiva e rappresentativa di emozioni, speranze e fremiti di paura, si concluse a Venezia, dove morì il 29 novembre del 1643.
Bibliografia:
M. Mila, Breve storia della musica, Einaudi, 1963
E. Surian, Manuale di storia della musica, Vol. I, Rugginenti Editore, 1991
Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto Treccani, 1960
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