Francesco Totti: un documentario

    Da tifoso romanista quale sono, non potevo esimermi dal guardare Mi chiamo Francesco Totti il documentario firmato Alex Infascelli e presentato al Festival del Cinema di Roma 2020, che ripercorre la vita, privata e sportiva, del campione di Via Vetulonia. Il filmato fa partire la sua narrazione dalle ore precedenti alla cerimonia, che allo stadio Olimpico, decreta l'addio al calcio di Francesco. Nel percorrere le strade che dal passato l'hanno portato in quel momento fatidico, Infascelli usa immagini della vidoteca della famiglia Totti: i video sulla spiaggia di Tor Vaianica, il tiro a segno ai compagni di scuola, "il gioco delle paperelle" nel cortile della Scuola Manzoni, gli spezzoni delle prime partite con squadre romane minori fino alla fatidica scelta che poteva essere un trampolino verso il professionismo: Lazio o Roma? E qui emerge l'anima giallorossa che non esita un istante, ascolta il cuore e sceglie d'istinto.

    Francesco Totti merita di essere celebrato non tanto per le capacità balistiche dei suoi tiri o per i suoi assist visionari, no, queste cose possono farle anche altri calciatori, forse non moltissimi, ma credo non siano queste le sue doti principali. L'ambito nel quale è stato un campione assoluto è aver mantenuto quell'anima tipicamente romana e popolare che viene da lontano ed è rimasta ancorata ad un periodo antecedente a quello che viviamo. Francesco è figlio dei cortili dei condomini romani, dell'odore di sugo, che la domenica già verso le 10 li inondava e gli donava un identità; Francesco è figlio della battuta in qualsiasi momento, un accenno di sorriso, un occhiata e ci siamo capiti. Totti, in definitiva è figlio di quella Roma popolare e vera che lo mette in comunione con tante altre persone come lui, con gli stessi tratti culturali, con l'unica differenza che non tutti sanno fare un "cucchiaio".

    Il documentario di Infascelli, si sviluppa quindi con un susseguirsi di immagini amatoriali e non, alcune inedite, che ripercorrono il percorso da calciatore di Francesco Totti, intramezzate da alcune scene originali, che rappresentano Francesco di notte in uno stadio vuoto e che ricordano nell'illuminazione e nei tratti, fotogrammi della Playstation. L'aspetto narrativo verbale è riservato a Francesco stesso, che informalmente e con cadenza dialettale, descrive e commenta le immagini che scorrono sullo schermo. Personalmente ho trovato la regia di Infascelli debole, in quanto si è appoggia forse troppo al lato emotivo che il personaggio Totti suscita sulla sponda giallorossa della città eterna; sempre a mio avviso, inoltre, è mancata qualche trovata di natura drammatico-narrativa per ravvivare la narrazione che rischia in alcuni momenti di appiattirsi nella staticità della ripetizione nella stessa modalità rappresentativa. Forse, senza andare ad intaccare la natura prettamente soggettiva del lavoro, che è una scelta espressiva legittima, l'introduzione di alcuni interventi esterni avrebbe dato quello sguardo "da un'altro punto di vista" capace di dare maggior spessore, attraverso una dialettica interna, anche allo sguardo soggettivo e al documentario tutto. Altro aspetto critico, ritengo sia stato la scelta del commento musicale. L'aspetto sonoro in un documentario credo sia fondamentale; anche in questo caso si possono fare scelte "artistiche" del tutto legittime, si può scegliere soltanto la ripresa di suoni ambientali, oppure evidenziare il messaggio che vogliamo mostrare, rinforzando le immagini con un commento musicale, a condizione però che sia funzionale. Ecco, soprattutto nel finale, ho trovato inaduguati i brani inseriti, che non sono stati in sintonia con il pathos vissuto sullo schermo. Parafrasando Nanni Moretti, non solo le parole sono importanti, anche la musica.

    In definitiva, credo poi che tutta la narrazione sia stata incentrata prevalentemente su un sentimento di perdita: l'addio al calcio, la polemica con Spalletti, che si, andavano narrate, ma sono fatti che hanno rappresentato solo una piccola parte, l'ultima, nella vita di un campione unico, che ha rinunciato ad ingaggi importanti e alla possibilità di vincere trofei solo per amore di una città e di una maglia; non può rimanere nell'immaginario collettivo soltanto una storia triste che ha il suo inizio e la sua fine da una diatriba tra un capitano e un allenatore: un documentario come questo sarebbe potuto essere una buona occasione per far pace con il recente passato e consolidare il passaggio del campione Francesco Totti dalla storia al mito.

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