Cinema / La musica che cura
L'omologazione culturale della quale siamo vittime, sempre più spesso ci priva della possibilità di assistere a pellicole che meriterebbero più attenzione. Il cinema che apre il pensiero ponendo quesiti e non fornendo facili ed edificanti risposte, viene sempre più relegato ai margini da un'industria cinematografica che propone puro spettacolo, consunti drammi amorosi-adolescenziali e film di dubbio gusto che si spacciano come portatori di nuove visioni. Il film marginalizzato del quale intendo trattare in questa sede è La musica che non ti ho detto (2011), titolo originale The music never stopped del regista Jim Kohlberg, premiato al Sundance Festival dello stesso anno. L'autore, anche scrittore e produttore, (ha prodotto anche i film Trumbo e Two family house) è anche un attivo investitore nel settore delle energie green e nel settore Internet media.
Il film è ispirato da un fatto realmente accaduto descritto nel saggio The last hippie del neurologo Oliver Sacks, scienziato inglese fautore dell'importanza della musica nei processi riabilitativi, che ha avuto anche modo di trattare nel suo libro Musicofilia, racconti tratti dalla sua esperienza clinica che mettono in evidenza i rapporti stretti tra musica e cervello.
La trama: Henry Sawyer e sua moglie ricevono una telefonata che li informa che il loro figlio Gabriel, del quale non avevano più notizie da vent'anni, è stato ricoverato per un tumore benigno al cervello. L'operazione va per il meglio, ma lascia il ragazzo nella condizione di non poter immagazzinare nuove memorie: la sua condizione è quella di paziente amnesico grave. La comunicazione diventa difficile tra Henry, il padre e Gabriel, il figlio, peggiorando quello scambio già degradato che aveva spinto il ragazzo ad abbandonare la casa paterna. Gabriel, giovane musicista contestatore, se ne va di casa dopo un litigio con il padre riguardo alla partecipazione americana alla guerra del Vietnam. Il padre conoscendo la passione per la musica del figlio, interpella allora una musicoterapista che aveva compiuto degli studi sulla relazione proprio con questo tipo di pazienti. I risultati ottenuti con le terapie mettono in evidenza come il ragazzo in presenza di musica sia capace di riappropriarsi della sua vita passata, riuscendo a verbalizzare i nodi che non erano stati sciolti, riuscendo in questo modo a ricostruire una relazione affettiva con il padre.
Il film rende una lettura a più livelli dove sullo sfondo restano incisi i conflitti generazionali dell'America a cavallo tra gli anni '60 e '70, sui quali si innestano i problemi comunicativi legati alla malattia. Quindi, comun denominatore di tutto il film è la difficile, se non impossibile, comunicazione, che troverà come antagonista la musica, nello specifico dei Beatles, di Bob Dylan e dei Grateful Dead.
Lungi dal vedere questa proposta come una melensa storia dove trionfano i buoni sentimenti, il film sottolinea l'importanza della musica come fattore terapeutico, pratica questa, nella quale ancora non si ripone fiducia, perchè poco conosciuta e per la difficoltà di ottenere dati certi, secondo il pensiero scientifico occidentale, da pubblicare per la comunità scientifica. La musicoterapia, intesa come l'uso dell'elemento sonoro per instaurare un processo atto a favorire la comunicazione, l'espressione e l'apprendimento ha una storia scientifica recente; a questo proposito da almeno venti anni sono riconosciuti dei modelli di riferimento tra i quali: Il modello Benenzon, musicista e psichiatra argentino, il modello inglese Nordoff-Robbins, che prende il nome da un musicista e uno pscicopedagogista, la musicoterapia orientata della violinista Mary Priestley e tanti altri che prendono spunti da questi citati.
Se il cinema è lo strumento prioritario per comunicare con la contemporaneità, La musica che non ti ho detto (la traduzione del titolo dall'originale questa volta è significativa) è un film che pone delle domande riguardo alla mancata attenzione, almeno in Italia, verso una pratica che si è vista essere di ausilio in svariate situazioni cliniche: dal tentativo di risveglio, spesso riuscito, dei pazienti in coma, alla somministrazione di suoni e vibrazioni alla donne in stato interessante, il lavoro sull'handicap mentale e psichico, fino ad arrivare al supporto delle devianze psicologico-comportamentali dell'adolescenza. La musica, i suoni, le vibrazioni fanno parte dell'essere umano, generano emozioni e modificano comportamenti, lavorando sull'affettività e sulla memoria sonora nella quale siamo tutti immersi fin da prima della nascita."L'anima è armonica, quale che sia il QI"
Oliver Sacks
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